L’argomento trattato nel compito di realtà dalle classi terze della scuola secondaria di primo grado è stato: Ricerca di lettere e testimonianze dei soldata italiani al fronte durante la prima guerra mondiale.
I ragazzi della classe terza G plesso Verga hanno accolto con entusiasmo quest’attività è oltre a ricercare tali documenti hanno elaborato alcuni commenti e riflessioni che riportiamo qui di seguito:
Cosa sappiamo, noi adolescenti di oggi, della Prima Guerra Mondiale? La studiamo a scuola … e basta. Apprendiamo dai libri che ha avuto inizio nel 1914, che la causa principale e, anche quella “di facciata”, è stata l’attentato di Sarajevo, che nessuno degli Stati ha voluto fare da mediatore affinché questa inutile conflitto scoppiasse: non tenendo conto della popolazione che vario titolo ne prese parte. I politici del 1900 pensavano a tutto tranne che al benessere della popolazione.
Ma ci siamo mai chiesti come si sono sentiti i poveri soldati al fronte di cui scorgiamo soltanto qualche piccola foto sui libri di Storia? Basta pensare che talvolta quelli che noi chiamiamo “soldati” erano ragazzini con soltanto cinque anni in più di noi, sradicati dai loro paesi spesso del sud e mandati a combattere un nemico nelle trincee sulle montagne del Carso senza sapere il perché e che il loro destino più comune, dal 1915 al 1918, era la morte. Tutto ciò è molto triste e ci procura tanta rabbia pensando che tutte queste morti si sarebbero potute evitare. L’unica cosa che potrebbe consolarci è che la Storia ci insegna a non ripetere gli stessi errori o almeno dovrebbe. A testimonianza del sacrificio dei soldati durante la Grande Guerra rimangono le loro lettere e i loro diari da noi ricercate e riprodotte.
Ester Cosentino
Lettere e diari dei soldati
«I discorsi dei fanti non sono allegri. E oggi parlavano sul tema: fucilazioni. Che è il più lugubre. Che c'è di vero nei racconti delle iniquità e delle ingiustizie senza nome attribuite ai tribunali militari? Sorrentino racconta di come fu mandato a morire sotto il fuoco nemico un aspirante di diciannove anni, arrivato da tre ore in trincea, i cui uomini si erano sbandati davanti alle mitragliatrici austriache. Ma il fatto più atroce è un altro. Presso un reggimento di fanteria, avviene un'insurrezione. Si tirano dei colpi di fucile, si grida: “Non vogliamo andare in trincea”. Il colonnello ordina un'inchiesta, ma i colpevoli non sono scoperti. Allora comanda che siano estratti a sorte dieci uomini; e siano fucilati. Sennonché, i fatti erano avvenuti il 28 del mese, e il giudizio era pronunciato il 30. Il 29 del mese erano arrivati i " complementi", inviati a colmare i vuoti prodotti dalle battaglie già sostenute: 30 uomini per ciascuna compagnia. Si domanda al colonnello: "Dobbiamo imbussolare anche i nomi dei complementi? Essi non possono aver preso parte al tumulto del 28: sono arrivati il 29 ". Il colonnello risponde:" Imbussolate tutti i nomi". Così avviene che, su dieci uomini da fucilare, due degli estratti sono complementi arrivati il 29. All'ora della fucilazione la scena è feroce. Uno dei due complementi, entrambi di classi anziane, è svenuto. Ma l'altro, bendato, cerca col viso da che parte sia il comandante del reggimento, chiamando a gran voce: "Signor colonnello! Signor colonnello! ". Si fa un silenzio di tomba. Il colonnello deve rispondere. Risponde: "Che c'è figliuolo? ". " Signor colonnello! " grida l'uomo bendato "Io sono della classe del '75. Io sono padre di famiglia. Io il giorno 28 non c'ero. In nome di Dio! ". "Figliuolo" risponde paterno il colonnello "Io non posso cercare tutti quelli che c'erano e che non c'erano. La nostra giustizia fa quello che può. Se tu sei innocente, Dio te ne terrà conto. Confida in Dio".»
TRATTO DA: Diario di Guerra, S. D’Amico
«Mi ricordo la prima strage. Eravamo ancora di là dell'Isonzo, dinanzi a Sagrado, in attesa. Una notte arriva l'ordine di tentare il passaggio del fiume. Approfittando dell'oscurità, su una passerella improvvisata, tutto un battaglione al completo riesce a sfilare alla chetichella. Gli austriaci, nemmeno un segno di vita: pareva che non ci fosse nessuno laggiù. Un portaordini ritorna, comunica che il reparto sta prendendo posizione, infiltrandosi attraverso la boscaglia. Tutto è facile, semplice, primitivo. Scaglionati lungo la riva destra, nella notte, aspettavamo di passare anche noi. D'improvviso scoppia una sparatoria, serrata, rabbiosa, che si propaga nel buio come un fuoco di paglia: l'artiglieria nemica si sveglia di soprassalto, sbuca con vampe subitanee da ogni dove. L'Isonzo zampilla di cannonate. Corre l'ordine di passare anche noi sull'altra riva, in soccorso. Non si può. La passerella è saltata, viene trascinata via dalla corrente. Abbiamo dovuto assistere, senza poter far nulla, alla tragedia che si svolgeva di là. La fucileria durò parecchio: poi, a poco a poco, si diradò; giungevano fino a noi urla, invocazioni disperate, clamori, lamenti laceranti di feriti. Che si poteva fare? Sparare? E dove? Nella mischia, a casaccio? Furono massacrati, tutti»
«Passato l’Isonzo, i reggimenti furono scagliati contro questa barriera del Carso. Falangi di giovani entusiasti, ignari, generosi, contro questa muraglia di pietre e fango. Dopo le bassure dell’Isonzo, cominciarono ad arginarci. Imboscate, trincee provvisorie, trappole, nidi di mitragliatrici che cominciarono a seminarci sul terreno scoperto. Man mano che si saliva su, verso il bordo del Carso, la resistenza si faceva più tenace: urtammo contro le prime trincee protette da reticolati.»
«Il coraggio nulla può contro questa misera e terribile cosa: la massa non può nulla. Eravamo sprovvisti di tutto: e le ondate si impigliavano in queste ragnatele di ferro…Dovunque, sul San Michele, a San Martino, al monte Sei Busi, all’altopiano di Doberdò, lungo le alture di Selz, questa marea di uomini fu avventata ciecamente contro la ferocia del nemico e delle sue difese, su per la pietraia ostile…e dovunque l’urlo dell’assalto fu soverchiato dal freddo balbettamento delle mitragliatrici. Si giunse fin sotto l’orlo del Carso…il terreno conquistato era stato coperto di morti; quasi tutti i reggimenti vennero pressoché annientati: non si poteva andare più oltre, senza artiglieria sufficiente, senza bombarde, senza nulla.»
«Ma i comandi sembravano impazziti. Avanti! Non si può! Che importa? Avanti lo stesso. Ma ci sono i reticolati intatti! Che ragione! I reticolati si sfondano coi petti o coi denti o con le vanghette. Avanti! Era un'ubriacatura. Coloro che confezionavano gli ordini li spedivano da lontano; e lo spettacolo della fanteria che avanzava, visto al binocolo, doveva essere esaltante. Non erano con noi, i generali; il reticolato non l'avevano mai veduto se non negli angoli dei loro uffici territoriali, e non si capacitavano che potesse essere un ostacolo. Arrangiatevi, ma andate avanti, perdio! Che si fa, si scherza? »
«Imbottivamo alla meglio i vuoti che ogni azione apriva, giorno per giorno, spaventosi, nei reggimenti. E su, fanteria pelandrona, all'attacco. " i nostri soldati si fecero ammazzare così a migliaia, eroicamente, in questi attacchi assurdi che si ripetevano ogni giorno, ogni ora, contro le stesse posizioni.»
«Il fango impasta uomini e cose assieme. Nel camminamento basso i soldati devono rimanere accovacciati nel fango per non offrire bersaglio: i bordi ineguali del riparo radono appena le teste. Non ci si può muovere. Questa fossa in cui siamo è ingombra di corpi pigiati, di gambe ritratte, di fucili, di cassette di munizioni che s'affastellano, di immondizie dilaganti. - tutto è conflitto nel fango tenace come un vischio rosso.»
TRATTO DA: Trincee. Confidenze di un fante, C. Salsa
Sappiamo tutti la terribile condizione dei soldati nelle trincee; ecco la testimonianza del sottotenente aretino Giuseppe Salvemini:
Io stesso – scrive Salvemini in un momento di pausa delle ostilità - ho assistito alla fucilazione di molti soldati! Non posso raccontare lo strazio che ho provato nell’udire i loro rantoli! Nulla in paragone sono i gemiti dei feriti, i lamenti, le grida e le imprecazioni dei combattenti! Nulla la scena terribile del campo di battaglia! Lo spettacolo della fucilazione è qualcosa di opprimente e di soffocante. A noi stessi par di soffocare dal dolore e di morire allo sparo dei fucili! I miseri condannati, legati mani e piedi, vengono gettati come sacchi di stracci, in un greppo o scarpata del monte e nessuno si cura se si sono rotti qualche braccio o qualche gamba! Tanto è gente che deve morire! Essi rantolano terribilmente! Il loro rantolo non ha nulla di umano! Sembra il rantolo di bestie strozzate! Altri hanno la faccia di dementi e vanno ripetendo, come presi da fissazioni: “Mamma, o mamma, o mamma …” oppure:” figli miei, figli miei”. Altri ripetono di continuo nel rantolo il nome di Dio! I loro occhi sono fuori le pupille e il loro sguardo è spaurito e stravolto! Tutto il loro corpo trema, come preso da convulsioni! A toccarli e a chiamarli non sentono! Dove vengono buttati, lì rimangono, anche se la posizione è scomoda. Intanto sei o sette carabinieri, a tre o quattro metri di distanza, s’allineano e fanno sentire lo scattare delle loro armi! In questo momento alcuni, quelli più in sé, gettano grida disperate e invocano Iddio; altri rinforzano i loro rantolo! Una scarica improvvisa pone fine al loro martirio! Il piombo, pare che l’inchiodi nel terreno! Dopo poco però, si vede ancora qualche braccio o qualche gamba muoversi, ed il corpo loro tremare come un individuo che abbia il tic nervoso! Un’altra scarica li inchioda ancora al terreno! Bensì per ucciderli bene, danno sempre 3 o quattro scariche! I cadaveri vengono lasciati lì! Sono bucherellati come crivelli! Dopo un paio di giorni puzzano, insieme agli altri! La metà di loro, io credo siano innocenti! O almeno ignari e inconsci di quello che hanno commesso! Questa è la terribile giustizia del fronte! Al Comando di Divisione, ovunque giriamo lo sguardo, vediamo mucchietti di cadaveri allineati. Sono tutti stati fucilati!
Le parole di quest’uomo sono davvero forti: non si può neanche lontanamente immaginare quello che ha visto. La fucilazione dei soldati durante una guerra è la cosa peggiore a cui si può assistere, soprattutto se non si può fare niente per aiutare le povere vittime
Leonardo Emanuele
Da ciò deduciamo che i soldati venivano trattati malissimo e vivevano nelle trincee in condizioni pessime anche il cibo era scarso e milioni di persone innocenti morivano ogni giorno, un vero e proprio massacro inutile.
Marta Renda
Da questa testimonianza si capisce che la guerra è un male che nessun uomo deve patire: l’ansia di ricevere un proiettile, sapere che si è spacciati e di non poter rivedere la propria famiglia rendono una cosa terribile come la guerra ancora più terrificante. Per questo motivo studiamo la storia: affinché gli errori del passato non si ripresentino in futuro.
Sergio Romeo
Nei seguenti stralci di lettere viene citato l’orrore presente dentro le trincee e a cosa andavano incontro i soldati, questo è quello che rimane della guerra.
Vi sono truppe allo scoperto, sotto il tiro del cannone nemico, con 15° sotto zero, e si vuole che avanzino. Muoiono gelati a centinaia e ciò è ignorato dal paese. Gli ufficiali più arditi hanno crisi di pianto, davanti all’impossibile. Sull’Isonzo si muore a torrenti umani e nulla finora si è raggiunto.
Siamo balzati fuori tutti insieme: siamo a 1.000m dalle prime trincee tedesche. Il rumore della fuciliera e del bombardamento è infernale. Un proiettile scoppia a 2m da me: mi ammacca l’elmetto, ma non sono ferito. Altri 15m e un altro proiettile mi cade ai piedi. Abbiamo conquistato la prima linea: un centinaio di tedeschi, con le mani alzate, corrono verso di noi. Non riesco a non impedirmi di sparargli addosso. Molti miei compagni sono morti, non abbiamo più ufficiali. Anche le trincee adesso sono piene di tedeschi morti.
Non si creda agli atti di valore dei soldati, non si dia retta alle altre fandonie del giornale, sono menzogne. Non combattono, no, con orgoglio, né con ardore; essi vanno al macello perché sono guidati e perché temono la fucilazione. Se avessi per le mani il governo, o meglio dei briganti, lo strozzerei.
In guerra mi facevano più impressione i vivi che i morti. I morti mi sembravano recipienti usati e poi buttati via da qualcuno, li guardavo come se fossero bottiglie rotte. I vivi, invece, avevano questo terribile vuoto negli occhi: erano essere umani che avevano guardato oltre la pazzia, e ora vivevano abbracciati alla morte.
Giorgia Caruso
In queste lettere si possono percepire la paura, il disprezzo…Ma queste emozioni cosa le ha suscitate? La guerra, quella bestia feroce che chiamano anche distruzione, perdita, mostro. La Grande Guerra fu per tutta l’umanità una carneficina inutile.
Giulia Francesca Sparti
Carissima madre come state?
Qui la situazione è terribile non si può vivere e ogni giorno le bombe sono boati che sgretolano un'intera parte del mondo. La guerra e spietata sotto ogni aspetto: molti miei compagni rimpiangono giorno e notte di essersi allontanati alle proprie famiglie abbandonandosi alla presunta morte. Io però non mi arrendo spero ancora di farcela e di uscire vivo da questo inferno.
Voi non potete nemmeno immaginare quanto io soffro ogni ora per quello che vedo e sento.
Ogni mattina mi alzo prestissimo il sono delle fucilate, tra i defunti della trincea e le persone morenti che esalano gli ultimi respiri e pregano il buon Dio nell'attesa di trovare la pace. Quando arriva il mio turno provo un dolore e una tristezza infinita quasi come un fuoco che brucia ogni speranza. Quasi per miracolo, riesco a resistere per qualche tempo. Questi casi sono i più disperati: devi uccidere senza guardare in faccia alcuno, poi non importa chi ti troverai davanti perché dovrai ugualmente sparare, e farlo quasi con fierezza o passione; dovrei continuare, senza poterti opporre agli ordini, anche se avrai la polvere negli occhi e lacrime nel cuore. E in quei momenti sai che stai commettendo mettendo del male, ma non puoi fermarti, anche se si è consapevoli consapevole che chi sta al di là di quel confine è giovane come te e non è colpa sua se indosso la divisa di un altro colore o alza la bandiera diversa dalla tua.
C'è invece chi muore di fame e di stenti, anche perché il cibo è scarso è quel poco che possiamo mettere sotto i denti e rancido. I più deboli muoiono per colpa del freddo e ci tormenta dalla sera al mattino. Le coperte, infatti, sono poche e chi ti esce procurarsele è così abito da non voler condividere con nessuno.
Alla fine di una settimana abbiamo conquistato ho perso solo pochi metri, che i miei occhi sembrano solo allagati dal caldo sangue innocente di chi ha lottato fino alla fine.
Sono stufo, mia carissima è preziosissima madre, di tutto quello che sta succedendo; qui si sta verificando l'impossibile: morti a destra e sinistra morti dietro e ai miei lenti passi scoraggiati. Ognuno di noi sa che non può in alcun modo tornare indietro e recuperare ciò che ormai perduto per sempre: la vita di un amico, di un fratello lontano che ora non può più abbracciare.
Basta, basta, basta! Non ne posso più, ho il cuore freddo come una pietra e le lacrime calde che parlano da sole: ho ucciso. Non credevo che sarei mai stato capace di spezzare la vita di un uomo così velocemente, senza permettere di dare ad entrambi un senso dell'orrore della guerra.
Chi non prova a vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo e detta solo leggi della propria scrivania, dicendo di combattere sempre comunque, non sa che cosa noi abbiamo visto, udito, provato, e non potrà mai, dico mai, rendersene conto.
Solamente ora ahimè capisco che a noi qui non è rimasto più niente, solo i boati nelle orecchie, il freddo nel sulle gambe, il respiro dell'ingiustizia nella mente e il peso di vite umane che gravano sul cuore, e guardando come incantato il mondo intorno a me, per la prima volta nella mia vita, ho paura.
Un saluto e un abbraccio
Alessandro
Abbiamo scelto questa lettera appunto per la trasparenza nel raccontare ciò che accadeva in guerra e perché si rappresentano sentimenti di chi era lì e uccideva non ovviamente per piacere ma perché era costretto questa è la cosa più brutta secondo noi anche perché eri umiliato e trattato non come un essere umano.
Cinzia Celani e Giorgia Faia
L’invio e l’arrivo della posta era un momento importante per i soldati al fronte. Con le lettere riuscivano a tenersi in contatto non solo con le famiglie ma anche con il mondo “normale” al quale speravano di tornare. Le testimonianze epistolari numerosissime sono preziose perché ci danno un’immagine autentica e diretta di quanto è accaduto.
Damiano Guarrera
Prof.ssa Maria Giovanna Musmeci